Musei del territorio

Giovanni Nicola
Giovanni Nicola
Musei del territorio

Musei del territorio

Museo della ceramica Urbania
Distanza Furlo - Urbania 23km 27” Nel ‘500 Urbania, che all’epoca aveva il nome di Casteldurante, insieme a Urbino e Pesaro, produsse tra le più belle maioliche del Rinascimento, distinguendosi da Faenza e dagli altri luoghi italiani della maiolica per l’invenzione di decorazioni proprie e la raffinatezza del genere pittorico narrativo detto “istoriato”. Nella cittadina metaurense ardevano all’epoca oltre 40 forni per una committenza italiana ed europea e spesso i maestri durantini lasciavano la patria per diffondere la loro arte. Il durantino Cipriano Piccolpasso scrive nel 1548 “Li tre libri dell’arte del vasaio” dettando le regole e i segreti del far ceramica. La produzione di maioliche rese famosa Urbania fin dal rinascimento e oggi, la tradizione di un tempo, con pregio viene riproposta dalle botteghe del luogo. Urbania è riconosciuta dal ’94 “Zona di produzione della ceramica artistica e tradizionale” primo Comune delle Marche (Legge 188/90). Urbania è uno dei 35 Comuni (insieme a Ascoli Piceno per la Regione Marche) che ha ottenuto la prestigiosa certificazione DOC della propria produzione ceramica entrando a fa parte dell’A.I.C.C. (Associazione Italiana delle Città Ceramiche). Nel ‘500 la ceramica durantina, grazie alla cultura raffaellesca, alla ricchezza d’immagini di incisori famosi e all’influenza di pittori e umanisti della corte ducale, si afferma al punto tale da raggiungere ogni angolo d’Europa e oggi è presente in musei quali l’Ermitage di San Pietroburgo, il Victoria Albert Museum di Londra, il Louvre di Parigi e il Metrpolitan di New York, nel ’97 alla Fiera del Turismo di Lipsia (Germania), nel 2007 a Praga, e tutt’oggi sono presenti in importanti gallerie d’arte e nelle più note fiere, italiane ed estere, del settore turismo e cultura. Un oggetto di maiolica durantina rappresenta sicuramente la giusta attenzione e il prezioso ricordo della visita alla Città. Gli artisti di oggi: le botteghe d’arte Il patrimonio di conoscenze degli antichi maestri si è trasmesso nel tempo. Nelle botteghe i ceramisti di oggi fanno rivivere la ricchezza straordinaria dei vasi e dei piatti istoriati. Non mancano la ricerca artistica, l’innovazione e la sperimentazione di nuove tecniche.
20 icetyiswa ngabantu basekuhlaleni
Urbania
20 icetyiswa ngabantu basekuhlaleni
Distanza Furlo - Urbania 23km 27” Nel ‘500 Urbania, che all’epoca aveva il nome di Casteldurante, insieme a Urbino e Pesaro, produsse tra le più belle maioliche del Rinascimento, distinguendosi da Faenza e dagli altri luoghi italiani della maiolica per l’invenzione di decorazioni proprie e la raffinatezza del genere pittorico narrativo detto “istoriato”. Nella cittadina metaurense ardevano all’epoca oltre 40 forni per una committenza italiana ed europea e spesso i maestri durantini lasciavano la patria per diffondere la loro arte. Il durantino Cipriano Piccolpasso scrive nel 1548 “Li tre libri dell’arte del vasaio” dettando le regole e i segreti del far ceramica. La produzione di maioliche rese famosa Urbania fin dal rinascimento e oggi, la tradizione di un tempo, con pregio viene riproposta dalle botteghe del luogo. Urbania è riconosciuta dal ’94 “Zona di produzione della ceramica artistica e tradizionale” primo Comune delle Marche (Legge 188/90). Urbania è uno dei 35 Comuni (insieme a Ascoli Piceno per la Regione Marche) che ha ottenuto la prestigiosa certificazione DOC della propria produzione ceramica entrando a fa parte dell’A.I.C.C. (Associazione Italiana delle Città Ceramiche). Nel ‘500 la ceramica durantina, grazie alla cultura raffaellesca, alla ricchezza d’immagini di incisori famosi e all’influenza di pittori e umanisti della corte ducale, si afferma al punto tale da raggiungere ogni angolo d’Europa e oggi è presente in musei quali l’Ermitage di San Pietroburgo, il Victoria Albert Museum di Londra, il Louvre di Parigi e il Metrpolitan di New York, nel ’97 alla Fiera del Turismo di Lipsia (Germania), nel 2007 a Praga, e tutt’oggi sono presenti in importanti gallerie d’arte e nelle più note fiere, italiane ed estere, del settore turismo e cultura. Un oggetto di maiolica durantina rappresenta sicuramente la giusta attenzione e il prezioso ricordo della visita alla Città. Gli artisti di oggi: le botteghe d’arte Il patrimonio di conoscenze degli antichi maestri si è trasmesso nel tempo. Nelle botteghe i ceramisti di oggi fanno rivivere la ricchezza straordinaria dei vasi e dei piatti istoriati. Non mancano la ricerca artistica, l’innovazione e la sperimentazione di nuove tecniche.
Distanza Furlo aFossombrone 7km 12” Fossombrone è un cittadella di provincia della provincia del centro Italia. La Quadreria Cesarini è l’essenza stessa del gusto provinciale di una buona famiglia anni’30, piena di piccole cose buone di pessimo gusto. Nessuno si aspetterebbe di trovare nulla di superlativo nella collezione d’arte di quello che fu il suo proprietario, il notaio Giuseppe Cesarini. Invece la sua raccolta include capolavori bellissimi di quello che fu un grande pittore, Anselmo Bucci, uno dei fondatori del gruppo “Novecento”. La Quadreria Cesarini è oggi il luogo che raccoglie più opere di A. Bucci, fatto che si deve all’amicizia che legò il notaio all’artista, entrambi nati a Fossombrone. Alcuni dei suoi quadri più famosi e più belli si trovano qui, come “Gli amanti sorpresi”, “Autunno”, “Giuditta”, “Leda Moderna”. L’altro fondo importante delle opere di Bucci è La Civica Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli di Milano, che conserva oltre quattrocento sue incisioni, mentre un piccolo nucleo di bei dipinti si trova a Monza, dove morì, alla Galleria Antologia. Giuseppe Cesarini, il notaio collezionista Quella che oggi è una casa museo, era la casa del notaio Giuseppe Cesarini, il quale qui visse e lavorò fino alla sua morte, avvenuta nel 1977. Molto benestante, cominciò ad interessarsi d’arte e, a partire dalla fine degli anni ’30, iniziò a collezionare opere di artisti a lui contemporanei, come Giorgio Morandi, Achille Funi, Marino Marini, Francesco Messina, Gino Severini. Quadri di ottima qualità, non certo prodotti di una cultura attardata. Tra tutti però Cesarini fu collezionista di Anselmo Bucci, anche lui nato a Fossombrone e suo amico. E’ con il ritratto che Cesarini si fece fare dall’amico Bucci, nel 1934, che il notaio cominciò la sua collezione, la quale divenne estesa a tal punto che Cesarini fu costretto a progettare uno spazio espositivo autonomo per i suoi artisti. Alla fine degli anni ’40 creò un nuovo studio e una nuova camera da letto e riallestì il salone grande, ora dedicata a Bucci. Quando fu inaugurata, nel 1951, il pittore era ancora vivo e fu presente. Anselmo Bucci, il pittore Bucci, al contrario di Cesarini, non ha nulla di provinciale. Sebbene nato a Fossombrone nel 1887, si spostò subito a Monza e già dal 1906 era a Parigi, grazie all’amicizia di Leonardo Dudreville. Visse a Montmartre, a contatto con Modigliani e Severini, gli italiani emigrati come lui. All’epoca improvvisava, viveva solo e in ristrettezze, disse: “Sono arrivato a Parigi nel 1906, ho fatto il primo pasto nel 1910”. Si accostò subito ad un tipo di illustrazione post-impressionista, sperimenta l’acquaforte, la litografia e la puntasecca, ogni cosa era spunto per disegnare. Fu apprezzato soprattutto come incisore, tanto da essere lodato anche da Apollinaire. Degli impressionisti coglie la sensazione del momento, ma ci mette del suo, la realtà la prende, la incide, è materica e in questo rimane italiano. Raccoglie le sue incisioni in diverse serie: Paris qui bouge (59 incisioni) del 1909 è la più importante; Le petit Paris qui bouge (25 incisioni), 1908; I vecchi (12 incisioni), 1908; Rouen (9 incisioni), 1908. Quando si allontana da Parigi, intorno al 1912-13, fa dei viaggi in Sardegna, in Africa, nel Sud della Francia e ne escono altre raccolte di incisioni come Algeri notturna (6 incisioni), 1912; Bretagna (8 incisioni). In lui la grafica non è mai disgiunta dallo scopo di documentare dal vivo e in questo l’incisione dà di più del disegno, è più viva. Allo scoppio della I Guerra Mondiale, si arruola volontario né smette di disegnare. E’ uno dei più prolifici artisti al fronte, un pittore soldato, che continua a incidere ciò vede. Al termine ritorna a Parigi, dove però l’ansia di avanguardia non gli piace molto, a lui interessa la figura e la forma. Sorprende come l’artista filofrancese e post-impressionista diventi invece il fondatore di uno dei movimenti più italiani e più conservatori. Avvicinatosi a Margherita Sarfatti, amante del Duce, nel 1922, insieme con Sironi, Funi, Dudreville, Malerba, Marussig e Oppi fonda il gruppo del “Novecento”. Il nome del gruppo si deve proprio a Bucci, che nel 1926 partecipa alla I Mostra del Novecento Italiano. Il gruppo intendeva basarsi su una difesa della figuratività tradizionale, di fatto italiana, e una resistenza alle avanguardie d’oltralpe. Gradualmente si distacca anche dal Novecento, per tornare alle incisioni e ai disegni. Curioso annotare che Bucci, insieme con Orio Vergani, segue il Giro d’Italia del 1940 dominato da Fausto Coppi, illustrandolo con piccole tavole. Anselmo Bucci è uno di quei pittori anche scrittori, capace di scrivere frasi come: “Tu sei bella e fresca. Io sembro un vecchio. Tu hai dormito le notti che io ho passato a pensarti”. Nel 1930 vince il Premio Viareggio con “Il pittore volante”, la sua autobiografia romanzata. Negli anni 1949-1950, partecipa alla costituzione dell’importante collezione Verzocchi, sul tema del lavoro, inviando, con un autoritratto, Il ponte sul Metauro; la Collezione oggi è conservata nella Pinacoteca Civica di Forlì. Morirà a Monza nel 1955. Salotto Rosso: Il salotto rosso è il tentativo di creare un angolo di Parigi in una casa della provincia italiana. Suggestivo l’angolo con i tendaggi rossi che creano lo spazio intimo con le poltrone in cuoio e la lampada in ferro battuto: danno l’idea di fumoir. Alle pareti il bellissimo il dipinto “Giuditta” di Bucci alza il tono, che però viene contrastato dagli improbabili affreschi sul soffitto, forse eseguiti dallo stesso Cesarini. Il mobilio oscilla tra tendenze di settecento e ottocento, da cui deriva un senso di inappropriatezza. I tappeti, i vasi, i soprammobili completano l’arredo dando la sensazione di un agio ostentato e discordante. Ciononostante questa è la stanza più bella.
Quadreria Cesarini
26 Via Pergamino
Distanza Furlo aFossombrone 7km 12” Fossombrone è un cittadella di provincia della provincia del centro Italia. La Quadreria Cesarini è l’essenza stessa del gusto provinciale di una buona famiglia anni’30, piena di piccole cose buone di pessimo gusto. Nessuno si aspetterebbe di trovare nulla di superlativo nella collezione d’arte di quello che fu il suo proprietario, il notaio Giuseppe Cesarini. Invece la sua raccolta include capolavori bellissimi di quello che fu un grande pittore, Anselmo Bucci, uno dei fondatori del gruppo “Novecento”. La Quadreria Cesarini è oggi il luogo che raccoglie più opere di A. Bucci, fatto che si deve all’amicizia che legò il notaio all’artista, entrambi nati a Fossombrone. Alcuni dei suoi quadri più famosi e più belli si trovano qui, come “Gli amanti sorpresi”, “Autunno”, “Giuditta”, “Leda Moderna”. L’altro fondo importante delle opere di Bucci è La Civica Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli di Milano, che conserva oltre quattrocento sue incisioni, mentre un piccolo nucleo di bei dipinti si trova a Monza, dove morì, alla Galleria Antologia. Giuseppe Cesarini, il notaio collezionista Quella che oggi è una casa museo, era la casa del notaio Giuseppe Cesarini, il quale qui visse e lavorò fino alla sua morte, avvenuta nel 1977. Molto benestante, cominciò ad interessarsi d’arte e, a partire dalla fine degli anni ’30, iniziò a collezionare opere di artisti a lui contemporanei, come Giorgio Morandi, Achille Funi, Marino Marini, Francesco Messina, Gino Severini. Quadri di ottima qualità, non certo prodotti di una cultura attardata. Tra tutti però Cesarini fu collezionista di Anselmo Bucci, anche lui nato a Fossombrone e suo amico. E’ con il ritratto che Cesarini si fece fare dall’amico Bucci, nel 1934, che il notaio cominciò la sua collezione, la quale divenne estesa a tal punto che Cesarini fu costretto a progettare uno spazio espositivo autonomo per i suoi artisti. Alla fine degli anni ’40 creò un nuovo studio e una nuova camera da letto e riallestì il salone grande, ora dedicata a Bucci. Quando fu inaugurata, nel 1951, il pittore era ancora vivo e fu presente. Anselmo Bucci, il pittore Bucci, al contrario di Cesarini, non ha nulla di provinciale. Sebbene nato a Fossombrone nel 1887, si spostò subito a Monza e già dal 1906 era a Parigi, grazie all’amicizia di Leonardo Dudreville. Visse a Montmartre, a contatto con Modigliani e Severini, gli italiani emigrati come lui. All’epoca improvvisava, viveva solo e in ristrettezze, disse: “Sono arrivato a Parigi nel 1906, ho fatto il primo pasto nel 1910”. Si accostò subito ad un tipo di illustrazione post-impressionista, sperimenta l’acquaforte, la litografia e la puntasecca, ogni cosa era spunto per disegnare. Fu apprezzato soprattutto come incisore, tanto da essere lodato anche da Apollinaire. Degli impressionisti coglie la sensazione del momento, ma ci mette del suo, la realtà la prende, la incide, è materica e in questo rimane italiano. Raccoglie le sue incisioni in diverse serie: Paris qui bouge (59 incisioni) del 1909 è la più importante; Le petit Paris qui bouge (25 incisioni), 1908; I vecchi (12 incisioni), 1908; Rouen (9 incisioni), 1908. Quando si allontana da Parigi, intorno al 1912-13, fa dei viaggi in Sardegna, in Africa, nel Sud della Francia e ne escono altre raccolte di incisioni come Algeri notturna (6 incisioni), 1912; Bretagna (8 incisioni). In lui la grafica non è mai disgiunta dallo scopo di documentare dal vivo e in questo l’incisione dà di più del disegno, è più viva. Allo scoppio della I Guerra Mondiale, si arruola volontario né smette di disegnare. E’ uno dei più prolifici artisti al fronte, un pittore soldato, che continua a incidere ciò vede. Al termine ritorna a Parigi, dove però l’ansia di avanguardia non gli piace molto, a lui interessa la figura e la forma. Sorprende come l’artista filofrancese e post-impressionista diventi invece il fondatore di uno dei movimenti più italiani e più conservatori. Avvicinatosi a Margherita Sarfatti, amante del Duce, nel 1922, insieme con Sironi, Funi, Dudreville, Malerba, Marussig e Oppi fonda il gruppo del “Novecento”. Il nome del gruppo si deve proprio a Bucci, che nel 1926 partecipa alla I Mostra del Novecento Italiano. Il gruppo intendeva basarsi su una difesa della figuratività tradizionale, di fatto italiana, e una resistenza alle avanguardie d’oltralpe. Gradualmente si distacca anche dal Novecento, per tornare alle incisioni e ai disegni. Curioso annotare che Bucci, insieme con Orio Vergani, segue il Giro d’Italia del 1940 dominato da Fausto Coppi, illustrandolo con piccole tavole. Anselmo Bucci è uno di quei pittori anche scrittori, capace di scrivere frasi come: “Tu sei bella e fresca. Io sembro un vecchio. Tu hai dormito le notti che io ho passato a pensarti”. Nel 1930 vince il Premio Viareggio con “Il pittore volante”, la sua autobiografia romanzata. Negli anni 1949-1950, partecipa alla costituzione dell’importante collezione Verzocchi, sul tema del lavoro, inviando, con un autoritratto, Il ponte sul Metauro; la Collezione oggi è conservata nella Pinacoteca Civica di Forlì. Morirà a Monza nel 1955. Salotto Rosso: Il salotto rosso è il tentativo di creare un angolo di Parigi in una casa della provincia italiana. Suggestivo l’angolo con i tendaggi rossi che creano lo spazio intimo con le poltrone in cuoio e la lampada in ferro battuto: danno l’idea di fumoir. Alle pareti il bellissimo il dipinto “Giuditta” di Bucci alza il tono, che però viene contrastato dagli improbabili affreschi sul soffitto, forse eseguiti dallo stesso Cesarini. Il mobilio oscilla tra tendenze di settecento e ottocento, da cui deriva un senso di inappropriatezza. I tappeti, i vasi, i soprammobili completano l’arredo dando la sensazione di un agio ostentato e discordante. Ciononostante questa è la stanza più bella.
Distanza Furlo aFossombrone 7km 12” Museo Civico e la Pinacoteca sono ospitate presso gli spazi del Palazzo Ducale di Fossombrone noto come "Corte Alta", posto a mezza costa del colle di Sant'Aldebrando, appena sotto la Cittadella dominata dalla fortezza malatestiana. Fatto costruire nel 1464 da Federico da Montefeltro, modificando un edificio medievale di cui si è conservata la severità formale, il complesso fu poi ampliato a più riprese fino agli ultimi decenni del XV secolo. La Corte Alta perse progressivamente importanza come residenza ducale ai tempi di Francesco Maria I Della Rovere, quando l'acquisizione di Pesaro nel Ducato fece spostare in questa città i "luoghi di delizia" della corte. Il Museo Civico e la Pinacoteca nascono nel 1901 per volere di Monsignor Augusto Vernarecci (1847-1919). Museo Civico e Archeologico Ritraddo del Cardinale Augusto Vernacci. Testa di Adriano. Bronzetto dalla stipe del Targo, Discoforo. Il Museo Civico "Augusto Vernarecci" è caratterizzato per il prevalere della sezione archeologica. I reperti furono raccolti da Vernarecci stesso nell'area di Forum Sempronii, la citta' romana che ha dato origine all'attuale Fossombrone. Questa sezione è stata completamente rinnovata nel 1997, con un accurato progetto espositivo curato dal prof. Giancarlo Gori. Già all'esterno, sotto uno dei due androni e nel piccolo cortile antistante l'ingresso al museo, sono raccolti epigrafi ed elementi architettonici (fusti di colonne e capitelli) di età romana. Notevole, a lato dell'ingresso al museo, è la base marmorea della statua in bronzo di Gaio Edio Vero (II secolo d.C.), patronus di Forum Sempronii e per questo omaggiato dai duoviri e dai decurioni della città con questo dono, come ricordano le due iscrizioni dedicatorie. All'interno, la "sezione archeologica" è oggi collocata in due ambienti della Corte Alta, detti "Vestibolo" e "Sala del teatro", e illustra in successione diacronica l'evoluzione del popolamento di questo settore della valle del Metauro dalla Preistoria all'età romana. Nella Sala del Vestibolo (sala I) vi sono i reperti riferibili alla Preistoria e Protostoria. Nelle prime tre bacheche sulla sinistra troviamo manufatti, soprattutto selci, provenienti da siti della valle del Tarugo e cronologicamente inquadrabili dal Paleolitico all'età del Bronzo; alcuni pannelli illustrano poi le tecniche di lavorazione della pietra. Nelle due bacheche seguenti e nella vetrina in angolo sono raccolti materiali del sito di Ca' Balzano, che fra XIII e XII secolo a.C. è occupato da genti di cultura Subappenninica. Il percorso prosegue con tre vetrine dedicate alle testimonianze della Cultura Picena, la cui presenza è attesta in più siti, in contesti di IX-V secolo a.C.. Di particolare interesse sono la spada bronzea di tipo italico da Serrungarina, le statuette votive in bronzo e in terracotta dalla stipe votiva del Tarugo presso Isola di Fano, i frammenti di ceramica attica dagli abitati di Monte Aguzzo e Monte Raggio, che testimoniano rapporti commerciali con la Grecia, le fibule ad arco con nucleo d'ambra e le fibule a sanguisuga. La Sala del Teatro (sala II), la più ampia, è interamente dedicata all'età romana e si articola in tre sezioni: la città di Forum Sempronii e il suo territorio, aspetti e testimonianze di vita quotidiana, tombe e rituali funerari. La prima sezione, sulla sinistra, si apre con alcuni documenti epigrafici che riportano notizie riguardanti interventi effettuati su alcuni edifici e vie dell'area urbana e che ci informano delle magistrature e dei collegi sacerdotali cittadini, nonché delle divinità e degli imperatori a cui i Forosemproniensi erano devoti o esprimevano riconoscenza. Una pianta di Forum Sempronii ricostruisce l'impianto urbanistico e una carta del territorio documenta l'intensità del popolamento di età romana. La prima sezione prosegue con la statuaria e gli elementi architettonici. Di particolare interesse sono una statua loricata (cioè di un personaggio vestito con armatura) forse degli imperatori Adriano (117-138 d.C.) o Commodo (176-192 d.C.), i ritratti degli imperatori Caligola (37-41 d.C.) e Adriano, il ritratto femminile con acconciatura "a turbante" e i capitelli in marmo. In una vetrina sono esposti alcuni frammenti di statue bronzee dorate, che in origine dovevano appartenere a monumenti analoghi al celebre gruppo dei "Bronzi di Cartoceto". Nella seconda sezione gli aspetti e le testimonianze della vita quotidiana sono ricostruiti con l'esposizione di oggetti di vario tipo (instrumentum domesticum) in cinque vetrine che occupano l'intera parete di fondo della sala: pesi da bilancia e da telaio, monete, strumenti chirurgici e da cosmesi, ceramiche, lucerne, ornamenti e gioielli. Chiude la seconda sezione l'angolo delle anfore, il più comune contenitore per il trasporto e la conservazione di generi alimentari di varia natura, dal vino all'olio, alle salse di pesce, alla frutta secca, ai legumi. Ne è esposta una ricca tipologia, con alcuni esemplari che presentano il marchio del fabbricante o dei graffiti a volte indicanti il contenuto.Concludono l'età romana le testimonianze relative al culto dei morti. La varietà dei monumenti funerari esposti testimonia quanto sentito fosse il tema della morte e con quale preoccupazione si cercasse di perpetuare al meglio la memoria di sé, naturalmente in un modo diversificato che rifletteva le differenti possibilità economiche. Accanto ai diversi tipi di stele più o meno elaborate, come quella a pseudoedicola dei Marii (I secolo d.C.), troviamo semplici iscrizioni funerarie o testimonianze di maggior evidenza sociale, come il sarcofago con tabella ansata senza alcuna iscrizione (V secolo d.C.) e il frammento architettonico con falere che in origine doveva appartenere a una tomba di una certa monumentalità. Nelle due vetrine sono poi raccolti i materiali recuperati in alcune sepolture messe in luce nel territorio. Nella prima vi sono i corredi delle tombe interne ed esterne al recinto funerario della famiglia Cissonia scoperto a Calmazzo e databile alla media età imperiale: notevoli sono i due grandi unguentari vitrei e il monile in oro da una delle sepolture. Accanto a questi vi sono materiali recuperati dal sepolcreto di Ponterotto e dalla necropoli orientale di Forum Sempronii. Più recente è la sezione dedicata alla vita di Forum Sempronii in età tardoantica e altomedievale, allestita nella terza sala posta sulla sinistra appena entrati al museo. Gli scavi testimoniano che ancora nel VI secolo l'area urbana era frequentata e abitata, seppur con modalità differenti rispetto a quanto documentato per la piena età romana e tipiche di quel processo di ruralizzazione nel frattempo intercorso. Nelle vetrine vi sono monete di IV-VI secolo, lucerne, frammenti di anfore e numerose classi di ceramiche (terra sigillata africana, terra sigillata chiara italica, a vernice rossa tarda, invetriata tardoantica, tardoromana a superficie lisciata, acroma grezza "tipo Classe", dipinta tarda) che in alcuni casi si datano fino a primi anni del VII secolo. Sono poi sinteticamente descritti anche i rinvenimenti effettuati nel 1988-89 a Fossombrone in piazza Mazzini, dove è stato messo in luce un sepolcreto altomedievale che ha restituito una cinquantina di tombe, alcune sicuramente di VII secolo. Chiudono la sezione e l'intero percorso museale alcuni elementi architettonici di VIII-IX secolo provenienti dall'area archeologica della città romana e in particolare dall'area della Chiesa di San Martino del Piano. All'esterno del Museo si trova un piccolo Lapidario con elementi architettonici ed epigrafici di età romana. (Paolo Campagnoli). Pinacoteca Le opere esposte documentano gli atteggiamenti e gli sviluppi della pittura in ambito locale dal tardo Cinquecento all'Ottocento. Ad oggi, a seguito di recenti lavori di restauro, il prezioso materiale della Pinacoteca è conservato in parte nel deposito della Biblioteca Passionei, in parte in alcuni locali della Soprintendenza di Urbino. Si segnalano in particolare opere del Barocci "Le stigmate di S.Francesco" e della sua scuola; una ricca documentazione sull'attività di Giovan Francesco Guerrieri (1589-1657), il maggior pittore forsemproniense, esponente del naturalismo caravaggesco, che ebbe il merito di rinnovare con l'apporto naturalistico, il linguaggio figurativo locale profondamente legato a schemi barocceschi e zuccareschi ("S.Rocco e la Maddalena", "ritratto di Gentiluomo e di Gentildonna" "Ragazza che si spulcia", " Annunciazione", ecc.). Di notevole interesse è anche la sezione dedicata al Settecento profano con una serie di dipinti del lascito Rocchi Camerata Passionei, fra cui notevoli una fastosa tela del Ceccarini (1703-1783) ed il ritratto del card. Passionei dei torinesi Domenico e Giuseppe Duprà. Nella sezione dedicata ai ritratti ottocenteschi sono esposti due ritratti firmati da Francesco Podesti (1800-1895), che colpiscono per la finezza esecutiva e per l'aria romantica che li pervade. Si trovano inoltre ceramiche databili fra XV e XVIII secolo.
Museo Archeologico "A. Vernarecci"
3 Via del Verziere
Distanza Furlo aFossombrone 7km 12” Museo Civico e la Pinacoteca sono ospitate presso gli spazi del Palazzo Ducale di Fossombrone noto come "Corte Alta", posto a mezza costa del colle di Sant'Aldebrando, appena sotto la Cittadella dominata dalla fortezza malatestiana. Fatto costruire nel 1464 da Federico da Montefeltro, modificando un edificio medievale di cui si è conservata la severità formale, il complesso fu poi ampliato a più riprese fino agli ultimi decenni del XV secolo. La Corte Alta perse progressivamente importanza come residenza ducale ai tempi di Francesco Maria I Della Rovere, quando l'acquisizione di Pesaro nel Ducato fece spostare in questa città i "luoghi di delizia" della corte. Il Museo Civico e la Pinacoteca nascono nel 1901 per volere di Monsignor Augusto Vernarecci (1847-1919). Museo Civico e Archeologico Ritraddo del Cardinale Augusto Vernacci. Testa di Adriano. Bronzetto dalla stipe del Targo, Discoforo. Il Museo Civico "Augusto Vernarecci" è caratterizzato per il prevalere della sezione archeologica. I reperti furono raccolti da Vernarecci stesso nell'area di Forum Sempronii, la citta' romana che ha dato origine all'attuale Fossombrone. Questa sezione è stata completamente rinnovata nel 1997, con un accurato progetto espositivo curato dal prof. Giancarlo Gori. Già all'esterno, sotto uno dei due androni e nel piccolo cortile antistante l'ingresso al museo, sono raccolti epigrafi ed elementi architettonici (fusti di colonne e capitelli) di età romana. Notevole, a lato dell'ingresso al museo, è la base marmorea della statua in bronzo di Gaio Edio Vero (II secolo d.C.), patronus di Forum Sempronii e per questo omaggiato dai duoviri e dai decurioni della città con questo dono, come ricordano le due iscrizioni dedicatorie. All'interno, la "sezione archeologica" è oggi collocata in due ambienti della Corte Alta, detti "Vestibolo" e "Sala del teatro", e illustra in successione diacronica l'evoluzione del popolamento di questo settore della valle del Metauro dalla Preistoria all'età romana. Nella Sala del Vestibolo (sala I) vi sono i reperti riferibili alla Preistoria e Protostoria. Nelle prime tre bacheche sulla sinistra troviamo manufatti, soprattutto selci, provenienti da siti della valle del Tarugo e cronologicamente inquadrabili dal Paleolitico all'età del Bronzo; alcuni pannelli illustrano poi le tecniche di lavorazione della pietra. Nelle due bacheche seguenti e nella vetrina in angolo sono raccolti materiali del sito di Ca' Balzano, che fra XIII e XII secolo a.C. è occupato da genti di cultura Subappenninica. Il percorso prosegue con tre vetrine dedicate alle testimonianze della Cultura Picena, la cui presenza è attesta in più siti, in contesti di IX-V secolo a.C.. Di particolare interesse sono la spada bronzea di tipo italico da Serrungarina, le statuette votive in bronzo e in terracotta dalla stipe votiva del Tarugo presso Isola di Fano, i frammenti di ceramica attica dagli abitati di Monte Aguzzo e Monte Raggio, che testimoniano rapporti commerciali con la Grecia, le fibule ad arco con nucleo d'ambra e le fibule a sanguisuga. La Sala del Teatro (sala II), la più ampia, è interamente dedicata all'età romana e si articola in tre sezioni: la città di Forum Sempronii e il suo territorio, aspetti e testimonianze di vita quotidiana, tombe e rituali funerari. La prima sezione, sulla sinistra, si apre con alcuni documenti epigrafici che riportano notizie riguardanti interventi effettuati su alcuni edifici e vie dell'area urbana e che ci informano delle magistrature e dei collegi sacerdotali cittadini, nonché delle divinità e degli imperatori a cui i Forosemproniensi erano devoti o esprimevano riconoscenza. Una pianta di Forum Sempronii ricostruisce l'impianto urbanistico e una carta del territorio documenta l'intensità del popolamento di età romana. La prima sezione prosegue con la statuaria e gli elementi architettonici. Di particolare interesse sono una statua loricata (cioè di un personaggio vestito con armatura) forse degli imperatori Adriano (117-138 d.C.) o Commodo (176-192 d.C.), i ritratti degli imperatori Caligola (37-41 d.C.) e Adriano, il ritratto femminile con acconciatura "a turbante" e i capitelli in marmo. In una vetrina sono esposti alcuni frammenti di statue bronzee dorate, che in origine dovevano appartenere a monumenti analoghi al celebre gruppo dei "Bronzi di Cartoceto". Nella seconda sezione gli aspetti e le testimonianze della vita quotidiana sono ricostruiti con l'esposizione di oggetti di vario tipo (instrumentum domesticum) in cinque vetrine che occupano l'intera parete di fondo della sala: pesi da bilancia e da telaio, monete, strumenti chirurgici e da cosmesi, ceramiche, lucerne, ornamenti e gioielli. Chiude la seconda sezione l'angolo delle anfore, il più comune contenitore per il trasporto e la conservazione di generi alimentari di varia natura, dal vino all'olio, alle salse di pesce, alla frutta secca, ai legumi. Ne è esposta una ricca tipologia, con alcuni esemplari che presentano il marchio del fabbricante o dei graffiti a volte indicanti il contenuto.Concludono l'età romana le testimonianze relative al culto dei morti. La varietà dei monumenti funerari esposti testimonia quanto sentito fosse il tema della morte e con quale preoccupazione si cercasse di perpetuare al meglio la memoria di sé, naturalmente in un modo diversificato che rifletteva le differenti possibilità economiche. Accanto ai diversi tipi di stele più o meno elaborate, come quella a pseudoedicola dei Marii (I secolo d.C.), troviamo semplici iscrizioni funerarie o testimonianze di maggior evidenza sociale, come il sarcofago con tabella ansata senza alcuna iscrizione (V secolo d.C.) e il frammento architettonico con falere che in origine doveva appartenere a una tomba di una certa monumentalità. Nelle due vetrine sono poi raccolti i materiali recuperati in alcune sepolture messe in luce nel territorio. Nella prima vi sono i corredi delle tombe interne ed esterne al recinto funerario della famiglia Cissonia scoperto a Calmazzo e databile alla media età imperiale: notevoli sono i due grandi unguentari vitrei e il monile in oro da una delle sepolture. Accanto a questi vi sono materiali recuperati dal sepolcreto di Ponterotto e dalla necropoli orientale di Forum Sempronii. Più recente è la sezione dedicata alla vita di Forum Sempronii in età tardoantica e altomedievale, allestita nella terza sala posta sulla sinistra appena entrati al museo. Gli scavi testimoniano che ancora nel VI secolo l'area urbana era frequentata e abitata, seppur con modalità differenti rispetto a quanto documentato per la piena età romana e tipiche di quel processo di ruralizzazione nel frattempo intercorso. Nelle vetrine vi sono monete di IV-VI secolo, lucerne, frammenti di anfore e numerose classi di ceramiche (terra sigillata africana, terra sigillata chiara italica, a vernice rossa tarda, invetriata tardoantica, tardoromana a superficie lisciata, acroma grezza "tipo Classe", dipinta tarda) che in alcuni casi si datano fino a primi anni del VII secolo. Sono poi sinteticamente descritti anche i rinvenimenti effettuati nel 1988-89 a Fossombrone in piazza Mazzini, dove è stato messo in luce un sepolcreto altomedievale che ha restituito una cinquantina di tombe, alcune sicuramente di VII secolo. Chiudono la sezione e l'intero percorso museale alcuni elementi architettonici di VIII-IX secolo provenienti dall'area archeologica della città romana e in particolare dall'area della Chiesa di San Martino del Piano. All'esterno del Museo si trova un piccolo Lapidario con elementi architettonici ed epigrafici di età romana. (Paolo Campagnoli). Pinacoteca Le opere esposte documentano gli atteggiamenti e gli sviluppi della pittura in ambito locale dal tardo Cinquecento all'Ottocento. Ad oggi, a seguito di recenti lavori di restauro, il prezioso materiale della Pinacoteca è conservato in parte nel deposito della Biblioteca Passionei, in parte in alcuni locali della Soprintendenza di Urbino. Si segnalano in particolare opere del Barocci "Le stigmate di S.Francesco" e della sua scuola; una ricca documentazione sull'attività di Giovan Francesco Guerrieri (1589-1657), il maggior pittore forsemproniense, esponente del naturalismo caravaggesco, che ebbe il merito di rinnovare con l'apporto naturalistico, il linguaggio figurativo locale profondamente legato a schemi barocceschi e zuccareschi ("S.Rocco e la Maddalena", "ritratto di Gentiluomo e di Gentildonna" "Ragazza che si spulcia", " Annunciazione", ecc.). Di notevole interesse è anche la sezione dedicata al Settecento profano con una serie di dipinti del lascito Rocchi Camerata Passionei, fra cui notevoli una fastosa tela del Ceccarini (1703-1783) ed il ritratto del card. Passionei dei torinesi Domenico e Giuseppe Duprà. Nella sezione dedicata ai ritratti ottocenteschi sono esposti due ritratti firmati da Francesco Podesti (1800-1895), che colpiscono per la finezza esecutiva e per l'aria romantica che li pervade. Si trovano inoltre ceramiche databili fra XV e XVIII secolo.
CASA RAFFAELLO A URBINO RAFFAELLO HA «IMPARATO LA DIVINA PROPORZIONE DEGLI INGEGNI, SOPRATTUTTO HA IMPARATO IL VALORE DELLA FILOSOFIA, DELLA DIGNITÀ DA DARE AL SUO LAVORO DI PITTORE» (CARLO BO, 1984). Casa Raffaello è il luogo dove egli nacque il venerdì santo 28 marzo 1483, e dove visse i primi anni della sua formazione artistica alla scuola del padre, Giovanni Santi, anch’egli pittore affermato. A Urbino infatti Raffaello ha «imparato la divina proporzione degli ingegni, soprattutto ha imparato il valore della filosofia, della dignità da dare al suo lavoro di Pittore» (Carlo Bo, 1984). Con la morte di Raffaello, avvenuta a Roma il venerdì santo 6 aprile 1520, la casa passò agli eredi (Ciarla e Vagnini) che se la divisero fra loro. Dopo alterni passaggi, l’architetto urbinate Muzio Oddi, che abitava lì accanto, il 27 settembre 1635 acquistò una parte dell’antica abitazione dei Santi e precisamente quella dove la tradizione vuole sia nato Raffaello. Fu lui a restaurare l’edificio accorpandolo alla propria abitazione e ad apporre sulla facciata la bella iscrizione latina con l’aggiunta di un distico del Bembo, che ancora oggi possiamo leggere. Dopo alterne vicende la casa venne acquisita nel 1873 dall’Accademia Raffaello che, grazie ad una pubblica sottoscrizione ed al generoso contributo del nobile londinese John Morris Moore, vi pose la propria sede e ne divenne gelosa custode. Grazie all’interesse dell’Accademia, la casa si è arricchita nel tempo di numerose opere d’arte, frutto della generosa collaborazione di privati cittadini e di pubbliche Istituzioni: al suo interno sono ora esposti dipinti, sculture, ceramiche, arredi lignei, ecc. Alcuni di questi oggetti sono strettamente connessi a Raffaello (copie di suoi dipinti, bozzetti per il suo monumento, omaggi di altri artisti al Pittore, ecc.); altri sono a documentazione della ricca storia urbinate in campo artistico, civile e religioso (numerosi sono i ritratti di urbinati illustri); altri, infine, costituiscono diretta testimonianza del mito che in varie epoche ha accompagnato la fi
Via Raffaello
Via Raffaello
CASA RAFFAELLO A URBINO RAFFAELLO HA «IMPARATO LA DIVINA PROPORZIONE DEGLI INGEGNI, SOPRATTUTTO HA IMPARATO IL VALORE DELLA FILOSOFIA, DELLA DIGNITÀ DA DARE AL SUO LAVORO DI PITTORE» (CARLO BO, 1984). Casa Raffaello è il luogo dove egli nacque il venerdì santo 28 marzo 1483, e dove visse i primi anni della sua formazione artistica alla scuola del padre, Giovanni Santi, anch’egli pittore affermato. A Urbino infatti Raffaello ha «imparato la divina proporzione degli ingegni, soprattutto ha imparato il valore della filosofia, della dignità da dare al suo lavoro di Pittore» (Carlo Bo, 1984). Con la morte di Raffaello, avvenuta a Roma il venerdì santo 6 aprile 1520, la casa passò agli eredi (Ciarla e Vagnini) che se la divisero fra loro. Dopo alterni passaggi, l’architetto urbinate Muzio Oddi, che abitava lì accanto, il 27 settembre 1635 acquistò una parte dell’antica abitazione dei Santi e precisamente quella dove la tradizione vuole sia nato Raffaello. Fu lui a restaurare l’edificio accorpandolo alla propria abitazione e ad apporre sulla facciata la bella iscrizione latina con l’aggiunta di un distico del Bembo, che ancora oggi possiamo leggere. Dopo alterne vicende la casa venne acquisita nel 1873 dall’Accademia Raffaello che, grazie ad una pubblica sottoscrizione ed al generoso contributo del nobile londinese John Morris Moore, vi pose la propria sede e ne divenne gelosa custode. Grazie all’interesse dell’Accademia, la casa si è arricchita nel tempo di numerose opere d’arte, frutto della generosa collaborazione di privati cittadini e di pubbliche Istituzioni: al suo interno sono ora esposti dipinti, sculture, ceramiche, arredi lignei, ecc. Alcuni di questi oggetti sono strettamente connessi a Raffaello (copie di suoi dipinti, bozzetti per il suo monumento, omaggi di altri artisti al Pittore, ecc.); altri sono a documentazione della ricca storia urbinate in campo artistico, civile e religioso (numerosi sono i ritratti di urbinati illustri); altri, infine, costituiscono diretta testimonianza del mito che in varie epoche ha accompagnato la fi
La sede e le collezioni La Galleria Nazionale delle Marche è ospitata nel Palazzo Ducale, straordinaria dimora principesca del Quattrocento, voluta dal duca Federico da Montefeltro (1422 - 1482) signore della città di Urbino dal 1444 al 1482 "gloriae ac posteritati suae". Un "palazzo in forma di città", come lo definì Baldassarre Castiglione, che rispecchia la personalità guerriera ed al tempo stesso illuminata e colta del suo Signore. Vi lavorarono gli architetti Luciano Laurana (1420 - 1479), autore del superbo cortile e della facciata serrata tra i due slanciati torricini, e Francesco di Giorgio Martini (1439 - 1502) che ideò il prospetto principale, la cosiddetta "facciata a due ali". Un primo gruppo di opere, proveniente dagli edifici delle corporazioni religiose soppresse, venne a costituire nel 1861 il nucleo principale della Galleria che, considerata una delle più preziose raccolte d'arte in Italia, fu istituita nel 1912, sotto la direzione di Lionello Venturi, l'allora soprintendente, con l'intento di raccogliere, custodire e valorizzare gli oggetti d'arte provenienti dall'intero territorio regionale. Il percorso, all'interno del Palazzo, oltre a condurre il visitatore in ambienti di grande suggestione, tra cui lo "Studiolo del Duca", la "Cappellina del Perdono" e il "Tempietto delle Muse", lo avvicina alle numerose testimonianze della civiltà figurativa urbinate, e a capolavori assoluti come La profanazione dell'Ostia di Paolo Uccello (1397-1475), La Flagellazione e la Madonna di Senigallia di Piero della Francesca (1415/20-1492), la Pentecoste e la Crocefissione di Luca Signorelli (1441/50-1523), La Muta di Raffaello (1483 - 1520); l'Ultima Cena e la Resurrezione di Tiziano (1487/88-1576), l'Assunzione della Vergine di Federico Barocci (1535 - 1612); la Madonna col Bambino e Santa Francesca Romana di Orazio Gentileschi (c.1563 - 638 o 46). Di recente acquisizione la Collezione Volponi donata dallo scrittore urbinate che comprende, tra l'altro, dipinti del Trecento bolognese e tele del Seicento marchigiano. Importanti le raccolte di disegni e incisioni, la collezione di ceramiche e maioliche dei secoli XV e XVI e il misterioso dipinto della Citta' ideale (1480 c.) che, assieme alle due "Prospettive" conservate una nella Walters Art Gallery di Baltimora e l'altra nello Schloss Museum di Berlino, costituì, come afferma Maria Grazia Ciardi Duprè, il punto di partenza di alcuni fra i maggiori problemi prospettici, urbanistici, di architettura e di spazio che, nel passaggio dal primo al secondo Rinascimento, fondarono la civiltà moderna. Dopo gli ultimi restauri, è possibile visitare anche i sotterranei del Palazzo con la neviera, la selleria, la lavanderia, la cucina, la stalla ed il bagno del Duca.
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National Gallery of the Marche
13 Piazza Rinascimento
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La sede e le collezioni La Galleria Nazionale delle Marche è ospitata nel Palazzo Ducale, straordinaria dimora principesca del Quattrocento, voluta dal duca Federico da Montefeltro (1422 - 1482) signore della città di Urbino dal 1444 al 1482 "gloriae ac posteritati suae". Un "palazzo in forma di città", come lo definì Baldassarre Castiglione, che rispecchia la personalità guerriera ed al tempo stesso illuminata e colta del suo Signore. Vi lavorarono gli architetti Luciano Laurana (1420 - 1479), autore del superbo cortile e della facciata serrata tra i due slanciati torricini, e Francesco di Giorgio Martini (1439 - 1502) che ideò il prospetto principale, la cosiddetta "facciata a due ali". Un primo gruppo di opere, proveniente dagli edifici delle corporazioni religiose soppresse, venne a costituire nel 1861 il nucleo principale della Galleria che, considerata una delle più preziose raccolte d'arte in Italia, fu istituita nel 1912, sotto la direzione di Lionello Venturi, l'allora soprintendente, con l'intento di raccogliere, custodire e valorizzare gli oggetti d'arte provenienti dall'intero territorio regionale. Il percorso, all'interno del Palazzo, oltre a condurre il visitatore in ambienti di grande suggestione, tra cui lo "Studiolo del Duca", la "Cappellina del Perdono" e il "Tempietto delle Muse", lo avvicina alle numerose testimonianze della civiltà figurativa urbinate, e a capolavori assoluti come La profanazione dell'Ostia di Paolo Uccello (1397-1475), La Flagellazione e la Madonna di Senigallia di Piero della Francesca (1415/20-1492), la Pentecoste e la Crocefissione di Luca Signorelli (1441/50-1523), La Muta di Raffaello (1483 - 1520); l'Ultima Cena e la Resurrezione di Tiziano (1487/88-1576), l'Assunzione della Vergine di Federico Barocci (1535 - 1612); la Madonna col Bambino e Santa Francesca Romana di Orazio Gentileschi (c.1563 - 638 o 46). Di recente acquisizione la Collezione Volponi donata dallo scrittore urbinate che comprende, tra l'altro, dipinti del Trecento bolognese e tele del Seicento marchigiano. Importanti le raccolte di disegni e incisioni, la collezione di ceramiche e maioliche dei secoli XV e XVI e il misterioso dipinto della Citta' ideale (1480 c.) che, assieme alle due "Prospettive" conservate una nella Walters Art Gallery di Baltimora e l'altra nello Schloss Museum di Berlino, costituì, come afferma Maria Grazia Ciardi Duprè, il punto di partenza di alcuni fra i maggiori problemi prospettici, urbanistici, di architettura e di spazio che, nel passaggio dal primo al secondo Rinascimento, fondarono la civiltà moderna. Dopo gli ultimi restauri, è possibile visitare anche i sotterranei del Palazzo con la neviera, la selleria, la lavanderia, la cucina, la stalla ed il bagno del Duca.
Il nome di Federico da Montefeltro è uno dei più evocativi della storia italiana: uno dei più colti, raffinati, illuminati signori e mecenati del Rinascimento, è grazie al suo amore per l’arte che il territorio umbro-marchigiano (e l'Italia intera) gode di alcune delle più interessanti opere pittoriche e architettoniche dell'epoca. Esempio eccelso di questa vocazione allo splendore artistico il Palazzo Ducale di Urbino, uno dei simboli più pregevoli del Rinascimento, costruito quando Federico da Montefeltro era duca della città, uno dei centri più importanti del XV secolo. Sono tre gli architetti che si associano alla costruzione di questo edificio: il fiorentino Maso di Bartolomeo, il dalmata Luciano Laurana e il senese Francesco di Giorgio Martini che si avvicendarono negli anni. Il nucleo più antico, conosciuto come Palazzetto della Jole, fu costruito per volontà del padre di Federico, il conte Guidantonio, e a partire da esso e dalla piazza sottostante nel 1454 venne dato l’avvio ai lavori allo scultore-architetto di Bartolomeo. La facciata più famosa, quella dei Torricini, caratterizzata da due torrette svettanti con le loro 6 finestrelle ai lati di un volume a 3 piani con arcate balconiere, è attribuita a Laurana, così come lo Studiolo del Duca, uno dei capolavori dell’arte rinascimentale meglio conservati, praticamente intatto, interamente affrescato e intarsiato da artisti fiamminghi. All’architetto dalmata sono attributi anche ambienti del piano nobiliare come Scalone d'Onore, la Biblioteca, il Salone del Trono, la Sala degli Angeli, la Sala delle Udienze. Completò il palazzo l’architetto, ingegnere, artista di Giorgio Martini che aggiunse all’edificio un complesso impianto idrico, rivoluzionario e innovativo per l’epoca. La dinastia Della Rovere, che successe ai Montefeltro nel XVI secolo, ampliò ulteriormente il già mastodontico edificio aggiungendo un secondo piano nobile, l’Appartamento Roveresco. Fu durante l’epoca di appartenenza alla Santa Sede che Palazzo Ducale subì una spoliazione dei suoi beni e un lento degrado, ed è solo nel 1912 che moltissime opere d’arte verranno recuperate e andranno a formare quella che oggi è la Galleria Nazionale delle Marche, che occupa tutte le sale del primo e secondo piano del palazzo. La galleria espone dipinti, affreschi, pale, sculture in pietra e lignee, arazzi, mobili, legni intarsiati, incisioni e disegni, tutte opere databili tra il Trecento e il Seicento. Suggestivi gli ambienti del percorso espositivo, dalla Biblioteca del Duca, passando per la Sala dei Banchetti, ma anche gli ambienti di servizio come le cucine e la scuderia. L’Appartamento del Duca ospita alcuni dei più importanti capolavori del Quattrocento, come le opere di Piero della Francesca, mentre le sale di rappresentanza custodiscono opere di Leon Battista Alberti, Paolo Uccello nonché arazzi di Raffaello. Negli Appartamenti della Duchessa è possibile vedere opere di Tiziano e ancora Raffaello. Queste sono solo alcune delle testimonianze dell’arte rinascimentale che il meraviglioso Palazzo Ducale custodisce, capolavoro da non perdere nell'immenso panorama culturale italiano.
55 icetyiswa ngabantu basekuhlaleni
Palazzo Ducale di Urbino
13 Piazza Rinascimento
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Il nome di Federico da Montefeltro è uno dei più evocativi della storia italiana: uno dei più colti, raffinati, illuminati signori e mecenati del Rinascimento, è grazie al suo amore per l’arte che il territorio umbro-marchigiano (e l'Italia intera) gode di alcune delle più interessanti opere pittoriche e architettoniche dell'epoca. Esempio eccelso di questa vocazione allo splendore artistico il Palazzo Ducale di Urbino, uno dei simboli più pregevoli del Rinascimento, costruito quando Federico da Montefeltro era duca della città, uno dei centri più importanti del XV secolo. Sono tre gli architetti che si associano alla costruzione di questo edificio: il fiorentino Maso di Bartolomeo, il dalmata Luciano Laurana e il senese Francesco di Giorgio Martini che si avvicendarono negli anni. Il nucleo più antico, conosciuto come Palazzetto della Jole, fu costruito per volontà del padre di Federico, il conte Guidantonio, e a partire da esso e dalla piazza sottostante nel 1454 venne dato l’avvio ai lavori allo scultore-architetto di Bartolomeo. La facciata più famosa, quella dei Torricini, caratterizzata da due torrette svettanti con le loro 6 finestrelle ai lati di un volume a 3 piani con arcate balconiere, è attribuita a Laurana, così come lo Studiolo del Duca, uno dei capolavori dell’arte rinascimentale meglio conservati, praticamente intatto, interamente affrescato e intarsiato da artisti fiamminghi. All’architetto dalmata sono attributi anche ambienti del piano nobiliare come Scalone d'Onore, la Biblioteca, il Salone del Trono, la Sala degli Angeli, la Sala delle Udienze. Completò il palazzo l’architetto, ingegnere, artista di Giorgio Martini che aggiunse all’edificio un complesso impianto idrico, rivoluzionario e innovativo per l’epoca. La dinastia Della Rovere, che successe ai Montefeltro nel XVI secolo, ampliò ulteriormente il già mastodontico edificio aggiungendo un secondo piano nobile, l’Appartamento Roveresco. Fu durante l’epoca di appartenenza alla Santa Sede che Palazzo Ducale subì una spoliazione dei suoi beni e un lento degrado, ed è solo nel 1912 che moltissime opere d’arte verranno recuperate e andranno a formare quella che oggi è la Galleria Nazionale delle Marche, che occupa tutte le sale del primo e secondo piano del palazzo. La galleria espone dipinti, affreschi, pale, sculture in pietra e lignee, arazzi, mobili, legni intarsiati, incisioni e disegni, tutte opere databili tra il Trecento e il Seicento. Suggestivi gli ambienti del percorso espositivo, dalla Biblioteca del Duca, passando per la Sala dei Banchetti, ma anche gli ambienti di servizio come le cucine e la scuderia. L’Appartamento del Duca ospita alcuni dei più importanti capolavori del Quattrocento, come le opere di Piero della Francesca, mentre le sale di rappresentanza custodiscono opere di Leon Battista Alberti, Paolo Uccello nonché arazzi di Raffaello. Negli Appartamenti della Duchessa è possibile vedere opere di Tiziano e ancora Raffaello. Queste sono solo alcune delle testimonianze dell’arte rinascimentale che il meraviglioso Palazzo Ducale custodisce, capolavoro da non perdere nell'immenso panorama culturale italiano.

Pesaro - palazzo Ducale

Palazzo ducale di Pesaro Il palazzo, il più antico dei quattro in piazza del Popolo, viene costruito a più riprese dai signori che governano la città fra 1285 e il 1625: i Malatesta (1285-1445), gli Sforza e i Della Rovere (1513-1625). Il nucleo originario si deve probabilmente a Malatesta dei Sonetti (1368-1429). Alessandro Sforza per primo (1445-'73) amplia la dimora, iniziando la ristrutturazione che ingloba la parte malatestiana entro un corpo di fabbrica affacciato sulla piazza con altri tre edifici disposti intorno ad un cortile quadrangolare. Il figlio Costanzo (1473-'83) continua ad abbellire la corte chiamando artisti illustri come lo scultore pistoiese Domenico Rosselli che scolpisce porte, camini e finestre poi andati distrutti ad eccezione delle finestre del salone Metaurense. Della dimora sforzesca si è conservato solo il corpo frontale, anche se con alcune modifiche. Della facciata la parte più integra è quella inferiore con un ampio porticato in sei arcate mentre quella superiore ha subìto modifiche radicali. La merlatura che corona l'edificio, più volte modificata, viene sostituita da un cornicione nel 1774; l'attuale, del 1926, è di proporzioni più vistose rispetto a quella quattrocentesca. Le arcate delimitano un'ampia loggia aperta con volte a crociera che si ripetono nel vestibolo. Tracce quattrocentesche ritornano nella sala Laurana. Eventi bellici insieme con l'incendio del 1514 danneggiano pesantemente la dimora sforzesca. I Della Rovere provvedono prima di tutto alla ricostruzione. Tra il 1523 e il '32, Francesco Maria I affida i restauri a Girolamo Genga che ristruttura integralmente i palazzi sforzeschi senza modificarne l'estensione. Con Guidubaldo II (1538-'74) i lavori proseguono affidati al figlio di Girolamo, Bartolomeo, che rivede integralmente l'assetto degli interni e completa l'ala lungo il corso fino a via Barignani, iniziando la costruzione a pianterreno dei botteghini per gli artigiani. Le nozze del duca con Vittoria Farnese nel 1548 sono un'ulteriore occasione per ampliare il palazzo cui viene dato un aspetto sfarzoso grazie anche al contributo di artisti come Federico Brandani, Taddeo Zuccari e Ludovico Carracci. Tra il 1562-'65 viene edificato, sotto la direzione di Filippo Terzi, il corpo posteriore lungo via Barignani. Guidubaldo porta a compimento il progetto paterno di uguagliare in fasto gli altri principi italiani; dopo di lui Francesco Maria II (1574-1625) - in vista delle nozze del figlio Federico Ubaldo con Claudia de' Medici - affida nel 1616 a Niccolò Sabbatini la costruzione dell'ala tra la piazza e via Zongo adibendola ad appartamento del figlio. Con Francesco Maria II inizia tuttavia la progressiva decadenza della corte che investirà l'intero ducato. La morte immatura di Federico Ubaldo determina la fine dei Della Rovere. Con il cortile d'ingresso si entra nella parte cinquecentesca fatta costruire dai Della Rovere; agli interni si accede dalla sala d'attesa con un camino di Bartolomeo Genga ma è nel salone Metaurense che l'apoteosi della famiglia raggiunge l'apice. Tra gli spazi esterni rovereschi ci sono il cortile della "caccia" e il giardino segreto. Dopo la devoluzione del Ducato alla Santa Sede nel 1631, il palazzo diviene abitazione dei cardinali legati causando la decadenza di gran parte degli appartamenti. Per tutto il '700 numerosi sono stati i danni dovuti a cause naturali e umane. Solo verso la metà dell'800 si è avuta una piccola rinascita del palazzo dovuta ai prelati che commissionarono a Romolo Liverani le decorazioni delle cinque sale del corso. Dopo la proclamazione del Regno d'Italia, il palazzo è divenuto - e lo è tuttora - sede degli uffici della Prefettura. Dal 1920 al 1936 ha ospitato i Musei Civici prima della loro sistemazione definitiva in palazzo Toschi Mos
Sforza-Malatesta- Ducal Palace - Pesaro - center city block - Italy
1 Piazza del Popolo
Palazzo ducale di Pesaro Il palazzo, il più antico dei quattro in piazza del Popolo, viene costruito a più riprese dai signori che governano la città fra 1285 e il 1625: i Malatesta (1285-1445), gli Sforza e i Della Rovere (1513-1625). Il nucleo originario si deve probabilmente a Malatesta dei Sonetti (1368-1429). Alessandro Sforza per primo (1445-'73) amplia la dimora, iniziando la ristrutturazione che ingloba la parte malatestiana entro un corpo di fabbrica affacciato sulla piazza con altri tre edifici disposti intorno ad un cortile quadrangolare. Il figlio Costanzo (1473-'83) continua ad abbellire la corte chiamando artisti illustri come lo scultore pistoiese Domenico Rosselli che scolpisce porte, camini e finestre poi andati distrutti ad eccezione delle finestre del salone Metaurense. Della dimora sforzesca si è conservato solo il corpo frontale, anche se con alcune modifiche. Della facciata la parte più integra è quella inferiore con un ampio porticato in sei arcate mentre quella superiore ha subìto modifiche radicali. La merlatura che corona l'edificio, più volte modificata, viene sostituita da un cornicione nel 1774; l'attuale, del 1926, è di proporzioni più vistose rispetto a quella quattrocentesca. Le arcate delimitano un'ampia loggia aperta con volte a crociera che si ripetono nel vestibolo. Tracce quattrocentesche ritornano nella sala Laurana. Eventi bellici insieme con l'incendio del 1514 danneggiano pesantemente la dimora sforzesca. I Della Rovere provvedono prima di tutto alla ricostruzione. Tra il 1523 e il '32, Francesco Maria I affida i restauri a Girolamo Genga che ristruttura integralmente i palazzi sforzeschi senza modificarne l'estensione. Con Guidubaldo II (1538-'74) i lavori proseguono affidati al figlio di Girolamo, Bartolomeo, che rivede integralmente l'assetto degli interni e completa l'ala lungo il corso fino a via Barignani, iniziando la costruzione a pianterreno dei botteghini per gli artigiani. Le nozze del duca con Vittoria Farnese nel 1548 sono un'ulteriore occasione per ampliare il palazzo cui viene dato un aspetto sfarzoso grazie anche al contributo di artisti come Federico Brandani, Taddeo Zuccari e Ludovico Carracci. Tra il 1562-'65 viene edificato, sotto la direzione di Filippo Terzi, il corpo posteriore lungo via Barignani. Guidubaldo porta a compimento il progetto paterno di uguagliare in fasto gli altri principi italiani; dopo di lui Francesco Maria II (1574-1625) - in vista delle nozze del figlio Federico Ubaldo con Claudia de' Medici - affida nel 1616 a Niccolò Sabbatini la costruzione dell'ala tra la piazza e via Zongo adibendola ad appartamento del figlio. Con Francesco Maria II inizia tuttavia la progressiva decadenza della corte che investirà l'intero ducato. La morte immatura di Federico Ubaldo determina la fine dei Della Rovere. Con il cortile d'ingresso si entra nella parte cinquecentesca fatta costruire dai Della Rovere; agli interni si accede dalla sala d'attesa con un camino di Bartolomeo Genga ma è nel salone Metaurense che l'apoteosi della famiglia raggiunge l'apice. Tra gli spazi esterni rovereschi ci sono il cortile della "caccia" e il giardino segreto. Dopo la devoluzione del Ducato alla Santa Sede nel 1631, il palazzo diviene abitazione dei cardinali legati causando la decadenza di gran parte degli appartamenti. Per tutto il '700 numerosi sono stati i danni dovuti a cause naturali e umane. Solo verso la metà dell'800 si è avuta una piccola rinascita del palazzo dovuta ai prelati che commissionarono a Romolo Liverani le decorazioni delle cinque sale del corso. Dopo la proclamazione del Regno d'Italia, il palazzo è divenuto - e lo è tuttora - sede degli uffici della Prefettura. Dal 1920 al 1936 ha ospitato i Musei Civici prima della loro sistemazione definitiva in palazzo Toschi Mos